Focus: esofago di Barrett

L’Esofago di Barrett Dott.ssa Paola Parente – Dott.ssa Manuela Guirroli
Introduzione
1. Anatomia clinica dell’esofago
2. Definizione di esofago di Barrett
3. La diagnosi di esofago di Barrett
3.1 Fattori di rischio
3.2 Sintomi
3.3 Esami strumentali
3.3.a pH-metria
3.3.b Impedenziometria
3.4 Diagnosi endoscopica
3.4.a Endoscopia tradizionale
3.4.b Tecniche speciali
3.5 Il protocollo di campionamento bioptico
3.6 Il referto istologico (requisiti minimi)
4. La storia naturale della malattia
4.1 Esofagite peptica
4.2 La mucosa di Barrett
4.3 La neoplasia non-invasiva su mucosa di Barrett
4.4 L’adenocarcinoma di Barrett
4.5 Patologia molecolare della Mucosa di Barrett
5. La terapia dell’esofago di Barrett
5.1 Terapia Medica
5.2 Terapia Chirurgica
5.3 Opzioni terapeutiche ai farmaci e alla chirurgia
6. Il follow-up della mucosa di Barrett
7. Il registro EBRA
8. Conclusioni
9. Bibliografia

Introduzione
L’esofago di Barrett (EB) è una complicanza della malattia da reflusso gastro-esofageo (MRGE) ed è una lesione pre-neoplastica.
Il sospetto endoscopico di Esofago di Barrett nasce dal rilievo di mucosa di tipo gastrico (“vellutata”) in esofago tubulare. La diagnosi conclusiva impone la prova istologica della presenza di mucosa ghiandolare (= colonnare) di tipo intestinale (metaplasia intestinale =IM).

1. Anatomia clinica dell’esofago
L’esofago è interposto tra faringe e stomaco ed è anatomicamente suddiviso in: tratto cervicale (dalla cartilagine cricoide alla forchetta sternale), tratto toracico (dalla forchetta sternale allo hiatus diaframmatico ) e tratto addominale (tra hiatus e stomaco).
La parete esofagea è costituita da quattro strati (descritti procedendo dall’interno all’esterno):

Mucosa: costituita da epitelio pavimentoso stratificato non-cheratinizzato, lamina propria e muscularis mucosae;

Sottomucosa: costituita da un tessuto lasso che accoglie ghiandole che secernenti mucine acide. La sottomucosa contiene vasi ematici e linfatici.

Muscolatura propria: è disposta in due strati (circolare interno e longitudinale esterno). Nel terzo superiore gli strati muscolari sono costituiti quasi esclusivamente da muscolo striato; nel terzo medio si osserva una graduale preponderanza della componente liscia. La muscolatura del terzo inferiore è costituita esclusivamente da muscolo liscio, in continuità con gli strati muscolari dello stomaco.

Avventizia: a differenza degli altri organi toracici e addominali, l’esofago non ha un rivestimento sieroso; la superficie esterna della tonaca muscolare è rivestita da fibro-adiposo comprendente strutture vascolo-nervose. La parte terminale dell’esofago (esofago addominale) è rivestita da sierosa.

L’esofago terminale si continua con lo stomaco. Il passaggio dalla mucosa esofagea (rivestita da epitelio pavimentoso) a quella gastrica (rivestita da epitelio ghiandolare) è segnato da un cambiamento di aspetto/colorito della mucosa (piana e bianca quella esofagea, rugosa e rosea quella dello stomaco). Il confine tra le due mucose realizza una linea di confine frastagliata denominata linea “Z” e corrispondente, istologicamente, alla giunzione squamo-colonnare. Subito a valle della linea “Z”, la comparsa di plicatura mucosa (pliche gastriche) segna l’ingresso nella sacca gastrica (“giunzione esofago-gastrica”=GEG). Esternamente all’esofago (in corrispondenza della linea “Z” e della GEG), il diaframma costituisce un anello che circonda ed impronta il tubulo esofageo (impronta dei pilastri diaframmatici, endoscopicamente rilevabile). Nell’esofago normale, la linea”Z” coincide con la GEG e con l’impronta dei pilastri diaframmatici. Questi 3 riferimenti topografici hanno importanza fondamentale nella descrizione endoscopica dell’esofago e la posizione di ciascuno di essi viene espressa in centimetri di distanza dalla arcata dentaria. Nell’esofago normale, la distanza dei 3 reperi dall’arcata dentaria coincide. Quando lo stomaco ernia nel torace (ernia iatale) l’impronta dei pilastri diaframmatici è a valle della giunzione esofago-gastrica. Se l’epitelio pavimentoso esofageo si trasforma in epitelio ghiandolare (metaplasia di tipo gastrico e/o intestinale), la giunzione squamo colonnare (linea “Z”) è localizzata a monte della GEG.

Attraverso l’esofago il cibo ingerito giunge nello stomaco. La deglutizione consente il passaggio di quanto ingerito dalla cavità orale all’esofago cervicale. L’onda peristaltica si propaga attraverso la muscolatura dell’esofago toracico e addominale. L’esofago terminale è sede di un ispessimento muscolare che funziona come valvola che si rilassa per permettere il transito del deglutito e si restringe per impedirne il reflusso dallo stomaco in esofago. Alla continenza dello sfintere esofageo (cardiale) contribuiscono l’angolo di His (formato dal margine sinistro dell’esofago terminale e dal fondo dello stomaco) e i legamenti sospensori (esofago-diaframmatico, esofago-epatico ed epato-gastrico).

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2. Definizione di esofago di Barrett
I criteri istologici su cui fonda la diagnosi istologica di Esofago di Barrett sono disomogenei.

La gran parte della letteratura definisce esofago di Barrett (o mucosa di Barrett) la presenza di mucosa ghiandolare intestinalizzata dislocata al di sopra della giunzione esofago-gastrica.

La intestinalizzazione della mucosa ghiandolare non è da tutti riconosciuta come conditio sine qua non per la definizione di mucosa di Barrett (MB); alcune scuole di pensiero (inglesi, in particolare) considerano anche la mucosa di tipo gastrico non-intestinalizzata (di tipo cardiale e ossintico) condizione sufficiente alla diagnosi di MB. Studi di popolazione dimostrano tuttavia che l’incidenza e la prevalenza di neoplasia non-invasiva (i.e. displasia) e di adenocarcinoma sono associate in modo significativo solo alla mucosa intestinalizzata.

La bassa incidenza/prevalenza di neoplasia in mucosa non-intestinalizzata giustificano la restrizione di un programma di follow-up solo ai casi con metaplasia intestinale (MI).

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3. La diagnosi di esofago di Barrett

3.1 Fattori di rischio

L’esofago di Barrett è una complicanza della MRGE. Il reflusso gastro-esofageo costituisce un evento fisiologico (soprattutto dopo i pasti). Il reflusso “fisiologico” è asintomatico ed è dovuto al transitorio/breve rilassarsi dello sfintere esofageo inferiore (SEI). Talora il cardia rimane beante per periodi prolungati e/o frequenti. Tale situazione determina una maggiore esposizione della mucosa esofagea al contenuto gastrico (o duodeno-gastrico). Questa condizione determina la malattia da reflusso, caratterizzata da sintomi clinici e da lesioni organiche.
L’eziopatogenesi della MRGE è multifattoriale e vi contribuiscono alterazioni dei meccanismi protettivi della mucosa esofagea.

Cause della MRGE sono:

  • Alterata motilità esofagea: la normale (coordinata) motilità dell’esofago determina il normale fluire del contenuto esofageo nello stomaco. Le alterazioni della motilità esofagea diminuiscono il tempo di “svuotamento esofageo” e prolungano il contatto tra la mucosa e il cibo ingerito. Queste alterazioni possono essere di tipo congenito (acalasia, dolicoesofago) e acquisito (malattie del collagene, traumi);
  • Alterazione del tono/continenza dello SEI: si osserva nel 60-70% dei pazienti con MRGE. A questa disfunzione possono contribuire altri fattori, come l’ernia jatale, l’obesità e la gravidanza. In generale, si può affermare che tutte le condizioni che aumentano la pressione endo-addominale favoriscono il reflusso gastro-esofageo. è dimostrato che un BMI>30 determina un rischio di EB 4 volte maggiore rispetto ai controlli con BMI<25 (valore normale);
  • Abitudini alimentari: il consumo di pasti abbondanti e/o di cibi che aumentano la peristalsi gastrica e la secrezione cloridro-peptica incidono sulla funzionalità dello SEI, contribuendo alla genesi della MRGE;
  • Farmaci: i calcio-antagonisti, i beta-stimolanti, le teofilline, anticolinergici e nitrati, inibiscono il tono dello SEI (e dunque favoriscono il reflusso);
  • Abuso alcolico e tabagismo hanno effetto irritante diretto sulla mucosa esofagea.

Altre variabili correlate alla insorgenza di MB sono:

  • fattori epidemiologici: nella prevalenza di EB il rapporto maschi:femmine è di 8:1; tale differenza si riduce nella progressione ad adenocarcinoma con un rapporto di 2:1. La causa è probabilmente legata a una maggiore presenza degli altri fattori di rischio per la MRGE tra il sesso maschile e ad un ruolo protettivo degli estrogeni nel sesso femminile.

L’EB è inoltre più frequente nei Caucasici con età >50 anni.

  • Helicobacter pylori (Hp): alla infezione da Hp è stato attribuito un ruolo protettivo nei confronti del reflusso acido in esofago (Hp deprime la secrezione acida). L’atrofia gastrica conseguente all’infezione determinerebbe una minore secrezione di acidi gastrici e la produzione di ammonio da parte del batterio una ulteriore neutralizzazione dell’acidità. Tale ipotesi è supportata da dati epidemiologici che dimostrano una correlazione inversa tra infezione da Hp e prevalenza/incidenza di mucosa di Barrett e di adenocarcinoma esofageo.

Il contenuto gastrico è caratterizzato da un pH acido e da un alto contenuto di pepsina; il contenuto biliare da una alta concentrazione di sali biliari ed enzimi pancreatici. Queste componenti, che nello stomaco e nel duodeno vengono neutralizzate dalla secrezione mucosa, hanno effetto lesivo sull’epitelio pavimentoso dell’esofago.

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3.2 Sintomi

L’Esofago di Barrett è una complicanza della malattia da reflusso gastro-esofageo. I pazienti con Esofago di Barrett hanno spesso sintomi da MRGE ma non tutti i pazienti con sintomi da MRGE sono portatori di mucosa di Barrett, né l’esofago di Barrett è sempre sintomatico.

I sintomi più frequenti sono:

  • Dolore al petto, irradiato posteriormente o alle spalle (talora simulante un attacco cardiaco);
  • Bruciore (pirosi) in regione retro sternale che può estendersi sino alla base della lingua o alla mandibola;
  • Rigurgito: quando il reflusso gastrico risale l’esofago e giunge in cavità orale. Il reflusso avviene più frequentemente di notte, in quanto la posizione supina riduce ancora le resistenze al passaggio del contenuto gastrico in esofago; talora si associa una fastidiosa tosse dovuta a irritazione della laringe.

Sintomi meno frequenti sono:

  • difficoltà di deglutizione, non dolorosa (disfagia): per restringimento del lume dovuta all’esofagite (prima per cibi solidi, poi per i semisolidi e infine per i liquidi) oppure per incoordinazione motoria della deglutizione (disturbi motori esofagei).
  • Deglutizione dolorosa (odinofagia), dovuta a irritazione grave e/o ulcere della mucosa esofagea.

Più del 40% dei pazienti con esofago di Barrett non descrivono sintomi.

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3.3 Esami strumentali

3.3.a: pHmetria Esofagea: Monitoraggio del pH Esofageo per 24 ore

La pH-metria esofagea delle 24 ore (secondo la tecnica proposta da DeMeester e Johnson) è l’esame più sensibile e specifico per documentare l’acidità del microambiente esofageo e rappresenta il “gold-standard” per la diagnosi di reflusso gastro-esofageo patologico. Si tratta di un esame che non richiede ricovero e consente una registrazione circadiana degli episodi di reflusso nel rispetto della fisiologia esofagea. Un elettrodo sensibile alla concentrazione idrogenionica (introdotto per via nasale) viene posizionato 5 cm a monte del margine superiore dello Sfintere Esofageo Inferiore (SEI) e collegato con un registratore. Per tutta la durata della registrazione, il paziente svolge le normali attività quotidiane. L’indagine (generalmente ben tollerata) permette una correlazione tra le variazioni del pH esofageo e la comparsa di sintomi clinici registrati su apposito diario. Prima della procedura, il paziente deve sospendere l’assunzione di qualsiasi tipo di farmaco. Gli anti-H2 devono essere sospesi 7 giorni prima; i PPI almeno un mese prima; procinetici, antiacidi, gel gastro-protettori, anti-ipertensivi e benzodiazepine sono consentiti fino a 24 ore prima dell’inizio della procedura.

È considerato Reflusso Gastro-Esofago (RGE) ogni caduta di pH al di sotto di 4. Vengono inoltre valutati i seguenti parametri:

% TOT = % del tempo totale di esposizione a pH< 4

% ER = % del tempo trascorso in posizione eretta a pH<4

% SUP = % del tempo trascorso in posizione supina a pH<4

n. RGE = numero complessivo di episodi di RGE

n. RGE> 5 min = numero di reflussi con durata > 5 min.

max. RGE = durata, in minuti, del reflusso più lungo.

Oggi sono disponibili pH-metri “wireless” meglio tollerati dal paziente.

3.3.b Impedenziometria multicanale intraluminale (IMI)

Registra il transito del bolo esofageo ed i reflussi anche non-acidi (quelli nei quali può essere associata componente duodenale). Individua e discrimina le contrazioni esofagee dai reflussi e la natura degli stessi: liquidi, gassosi e misti. Il posizionamento del catetere con il sensore di pH viene posizionato anche in questo caso normalmente a 5 cm dallo SEI.

Tale tecnica può essere associata alla Ph-metria (IMI-pH) o manometria esofagea (IMI-EM) fornendo informazioni più dettagliate sulla funzionalità dell’esofago.

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3.4 Diagnosi endoscopica

Alla visione endoscopica, la mucosa esofagea normale (costituita da epitelio pavimentoso stratificato) è di colore bianco-grigiastro; la mucosa gastrica (di tipo ghiandolare, nella quale può insorgere la metaplasia intestinale) appare rosea. Il passaggio tra le due mucose (giunzione squamo-colonnare) è frastagliato, questo spiega la definizione di “linea Z”.

Di norma, la linea Z coincide con la giunzione esofago-gastrica (GEG), che all’endoscopia è individuata dall’apice craniale della prima plica gastrica visibile. Benché intuitivo è importante sottolineare che appare come linea Z ogni passaggio tra mucosa squamosa e mucosa colonnare.

Il terzo repere importante è l’impronta dei pilastri diaframmatici (IPD). Esso è un restringimento “ab estrinseco” del lume esofageo dovuto ai pilastri diaframmatici che si stringono attorno alla parete esofagea al passaggio dell’esofago dal torace all’addome.

Di norma, la linea Z, la GEG e l’IPD sono situate alla stessa distanza dall’arcata dentaria.

Nelle ernie gastriche iatali, la dislocazione mediastinica dello stomaco fa sì che la distanza dall’arcata dentaria dell’IPD sia maggiore della distanza della GEG.

Nei casi in cui la distanza dall’arcata dentaria della GEG è maggiore di quella della linea Z, si deve sospettare che la mucosa colonnare (di aspetto “vellutato” all’esame endoscopico) si sia espansa cranialmente guadagnando territorio a sfavore della mucosa originale dell’esofago (dislocazione di mucosa ghiandolare/colonnare in esofago). Questa situazione genera il sospetto endoscopico di esofago di Barrett. In questi casi, l’esame istologico dovrà caratterizzare la natura della mucosa “vellutata”.

La linea Z può “risalire” a monte delle GEG in esofago realizzando aspetti diversi riconducibili a tre “modelli” principali:

– mucosa vellutata a fiamma (come lingua di mucosa singola o multipla);

– mucosa vellutata circumferenziale (se la mucosa metaplasica occupa tutti i quadranti dell’esofago tubulare);

– mucosa vellutata circumferenziale con propaggini a fiamma;

Può essere definita linea “Z” anche quella che delimita una isola di mucosa ghiandolare nel contesto di mucosa nativa dell’esofago. Il margine di queste isole è costituito da giunzione squamo-colonnare.

La classificazione di Praga descrive la topografia/estensione della dislocazione di mucosa “vellutata” (ghiandolare-metaplasica) in esofago, documentata all’esame endoscopico. Tale dislocazione si esprime con due misure:

C: (valore espresso in centimetri dalla GEG) identifica il margine superiore della estensione circumferenziale della “nuova linea Z”

M: (valore espresso in centimetri dalla GEG) identifica la estensione più craniale della “nuova linea Z “ (estensione circumferenziale, e in questo caso coincidente con il valore M, o estensione a fiamma).

La mucosa “vellutata” in esofago, costituisce il target del campionamento bioptico in corso di esame endoscopico. L’esame istologico caratterizza la morfologia (il tipo) di mucosa ghiandolare, distinguendo:

a) mucosa ghiandolare di tipo gastrico mucosecernenete (tipo mucosa gastrica cardiale);

b) mucosa ghiandolare di tipo gastrico ossintico (tipo mucosa del corpo gastrico);

c) mucosa ghiandolare di tipo gastrico con metaplasia intestinale.

La dimostrazione istologica di mucosa ghiandolare intestinalizzata in esofago costituisce presupposto per la categorizzazione della mucosa ghiandolare endoscopicamente visibile come mucosa di Barrett. Nella maggioranza dei casi, la mucosa metaplasica-intestinalizzata è distribuita in foci di varia dimensione compresi in mucosa metaplasica non-intestinalizzata. Tale situazione giustifica:

– la adozione di tecniche endoscopiche (colorazioni vitali) che favoriscono la individuazione della metaplasia intestinale;

– un campionamento estensivo dei foci di mucosa “vellutata” al fine di aumentare le probabilità di cogliere la mucosa metaplasica-intestinalizzata.

Quest’ultimo principio è alla base del protocollo di campionamento bioptico noto come protocollo di Seattle (vedi di seguito). Il mapping bioptico secondo Seattle suggerisce che biopsie multiple debbano esplorare tutte le sedi di mucosa “vellutata” (vedi campionamento bioptico)

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3.4.a Endoscopia tradizionale

Colorazioni vitali e cromoendoscopia.

Le colorazioni vitali sfruttano la capacità delle cellule di “metabolizzare” le sostanze contenute nelle soluzioni. Tali capacità metaboliche sono condizionate dalla anatomia/fisiologia dei diversi tipi di mucosa. Quando le cellule sono capaci di “metabolizzare” il colorante si sviluppa una reazione chimica visibile come “colorazione”, ciò che permette di distinguere diversi tipi di epitelio/di mucosa. I coloranti vitali più usati sono:

Soluzione di Lugol (5%): Formata da Iodio +Ioduro di potassio (5%). Lo iodio si lega elettivamente al glicogeno delle cellule dell’ epitelio pavimentoso esofageo, che si colorano di giallo ocra. La mucosa metaplasica (non pavimentosa) non assume il colorante. Tale colorazione è particolarmente indicata per evidenziare il confine tra l’epitelio pavimentoso e l’epitelio metaplasico intestinale (EB).

Soluzione di Blu di Toluidina (1%): Cloruro di Tolonio. Questo colorante si lega elettivamente agli acidi nucleici presenti nelle cellule neoplastiche, provocando una colorazione bluastra delle aree neoplastiche (neoplasia non-invasiva di alto grado e adenocarcinoma). Per evitare falsi positivi, è bene far precedere l’uso di tale colorante da un lavaggio esofageo con acido acetico all’1% (eliminazione del muco stanziale che, assumendo il colorante, produrrebbe false immagini positive). La tecnica si realizza in tre tempi: 1) Lavaggio con acido acetico 1%; 2) Colorazione vitale vera e propria; 3) Lavaggio con acido acetico all’1% per rimuovere il colorante in eccesso.

Blu di Metilene: Cloruro di metiltionina. Questo colorante viene assorbito dalle cellule di tipo intestinale, e colora elettivamente (in blu) l’epitelio metaplasico dell’Esofago di Barrett (l’epitelio pavimentoso esofageo e la mucosa di tipo gastrico non assorbono il colorante). La tecnica si realizza in tre tempi: 1) Lavaggio del muco mediante soluzione di N-Acetilcisteina al 10%; 2) Applicazione del colorante mediante catetere spray; 3) Lavaggi con soluzione fisiologica fino a completa rimozione del colorante in eccesso.

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3.4.b Tecniche speciali

Narrow Band Imaging (NBI)

E’ una nuova tecnica endoscopica ad alta risoluzione (fino a 150x), che non utilizza coloranti vitali. La NBI si basa sul fatto che la profondità di penetrazione della luce dipende dalla sua lunghezza d’onda: maggiore è la lunghezza d’onda, più profonda la penetrazione (la luce blu penetra superficialmente, quella rossa penetra in profondità). Mutando la lunghezza d’onda nel corso dell’esame di una lesione è possibile arricchire di particolari la valutazione morfologica della stessa.

La NBI evidenzia isole di tessuto ectopico delle dimensioni di 1-2 mm. Adottata dopo procedure endoscopiche resettive, la NBI permette di valutare i margini di resezione evidenziando la persistenza di tessuto ectopico residuo. L’NBI non utilizza coloranti liquidi (“colorazione a secco”) escludendo gli svantaggi di un campo di osservazione “sporcato” dal colorante.

Magnificazione endoscopica

Si basa sull’utilizzo di videoendoscopi (elettronici) “ingranditori” che montano sofisticati CCD (charge-coupled device) da 400k-800 k pixel (rispetto ai tradizionali 100-300k). L’elevato numero di pixel consente un’elevatissima risoluzione e permette di individuare lesioni piccolissime non visualizzabili con gli endoscopi tradizionali.

Nella diagnostica dell’esofago di Barrett, l’endoscopia di magnificazione permette di identificare fino a 5 differenti pattern di mucosa:

– pattern I e II: mucosa gastrica o cardiale;

– pattern III: mucosa mista;

– pattern IV e V: mucosa intestinale.

Endomicroscopia Confocale laser

Si basa sull’utilizzo di un endomicroscopio confocale, in grado di visualizzare in vivo ed in tempo reale la struttura istologica del campo esplorato. L’endomicroscopia confocale laser è potenzialmente utile nella diagnosi precoce di lesioni tumorali o displastiche, nonchè nella ottimizzazione delle biopsie e delle resezioni endoscopiche. Lo strumento impiegato è un video-endoscopio sul cui terminale viene applicato uno scanner confocale miniaturizzato. Quest’ultimo, emettendo una luce laser monocromatica della lunghezza d’onda di 488 nm, cattura il riflesso della luce focalizzata su piani paralleli della mucosa mediante una lente e la ritrasmette ad un detettore di immagine. L’endoscopio confocale genera simultaneamente l’immagine videoendoscopica standard e quella confocale. L’area di mucosa esplorata è di 500 per 500 um con una risoluzione di 0,7 um. La scansione può essere spinta dalla superficie della mucosa fino a 250 um di profondità. I singoli piani di scansione confocale sono di 7um.
Le immagini endomicroscopiche sono generate utilizzando un agente di contrasto fluorescente (fluorescina topica al 10%). Dopo somministrazione topica di 5-10 ml di fluorescina, è possibile identificare le strutture epiteliali, il connettivo di supporto e le strutture vascolari.
La visualizzazione dell’architettura della mucosa avviene per piani paralleli alla sua superficie. In base al disegno dell’architettura ghiandolare e vascolare sono stati definiti pattern endomicroscopici di normalità, di iperplasia e di neoplasia.
L’uso preliminare di colorazioni vitali non interferisce con l’autofluorescenza del viscere.

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3.5 Il protocollo di campionamento bioptico

Il sospetto endoscopico di esofago di Barrett, necessita di conferma istologica (come più volte specificato).

L’obbiettivo del campionamento bioptico è quello di combinare la priorità di una estensiva esplorazione del territorio da indagare con la praticabilità clinica del campionamento.

Tra tutti i protocolli proposti, quello noto come protocollo Seattle è il più frequentemente raccomandato (anche se solo raramente applicabile).

Il protocollo raccomanda sempre 4 biopsie della GEG (una per quadrante) e si differenzia a seconda delle caratteristiche endoscopiche della mucosa “vellutata” ( circumferenziale, a lingue [= a fiamme]), a isola). La differente topografia della mucosa vellutata propone diverse modalità di campionamento bioptico:

  • mucosa vellutata a “fiamma”: una biopsia ogni 1-2 cm di fiamma (su ogni fiamma); biopsia su mucosa normale;
  • “isole”di mucosa vellutata: campionamento bioptico di ciascuna isola; biopsia aggiuntiva di mucosa normale;
  • mucosa vellutata “circumferenziale”: quattro biopsie ogni 2 cm di mucosa “vellutata” (una per quadrante); biopsia aggiuntiva di mucosa normale;
  • mucosa vellutata “circumferenziale” associata a “fiamme” e a “isole”: quattro biopsie ogni 2 cm sulla mucosa circumferenziale; una biopsia ogni 1-2 cm sulla fiamma (su ogni fiamma); una biopsia per isola; biopsia aggiuntiva di mucosa normale;

È importante ricordare che il cardias costituisce il versante gastrico della GEG; la MI ristretta a questa sede (=assente nelle biopsie esofagee) configura il quadro di cardite metaplasica e non di Esofago di Barrett.

Il campionamento bioptico va distinto/identificato per sede (indicare la distanza del campione bioptico dalla arcata dentaria; un boccetto per ogni sede=un boccetto per ogni distanza dalla arcata dentaria). I campioni bioptici “a quadrante” possono essere tutti raccolti in un unico contenitore (se alla stessa distanza dalla arcata dentaria). Tale accorgimento è indispensabile per la successiva identificazione topografica di eventuali lesioni neoplastiche e per monitorare il decorso (anche post-terapia) della lesione esofagea.

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3.6 Il referto istologico (requisiti minimi)

A: Epitelio presente nelle biopsie inviate come “esofago con sospetto Barrett”

Un terzo dei pazienti che si sottopongono a endoscopia per sintomi da MRGE mostrano mucosa ghiandolare in esofago terminale (=al di sopra della giunzione esofago-gastrica). Le biopsie possono dimostrare la presenza di mucosa ghiandolare di tipo gastrico (cardiale e/o ossintico).

La metaplasia intestinale richiede la presenza di almeno una delle seguenti cellule (specializzate): a) cellule goblet (caliciformi mucipare); b) cellule colonnari con brush border; c) cellule di Paneth.

In presenza di metaplasia colonnare (sia di tipo intestinale che gastrico), il campione bioptico (spesso) dimostra duplicazione della muscularis mucosae. La presenza di duplicazione è stata considerata marcatore istologico “aggiuntivo” di mucosa metaplasica. Tale reperto, in realtà, è talora rilevabile anche in biopsie esofagee con rivestimento pavimentoso. Per tale motivo, più che un marcatore specifico di mucosa di Barrett, la duplicazione della muscularis mucose è considerata conseguente a flogosi mucosa (attiva o pregressa).

Per la diagnosi di Esofago di Barrett è necessaria la presenza di metaplasia intestinale nelle biopsie inviate come “mucosa esofagea”.

B: Tipi di Metaplasia Intestinale

La metaplasia intestinale in esofago può essere di tipo incompleto (tipo II o tipo III o tipo grosso intestino) o (meno frequentemente) di tipo completo (tipo I o tipo piccolo intestino). Le cellule caliciformi mucipare e quelle colonnari possono contenere mucosecreto a bassa acidità (sialo-mucine) o a elevata acidità (sulfo-mucine).

Il referto istologico non deve specificare l’istotipo di metaplasia intestinale.

C: Tecniche speciali per la dimostrazione istologica della Metaplasia Intestinale.

Nella maggior parte dei casi la MI è riconoscibile come tale in sezioni istologiche colorate con ematossilina/eosina. In casi dubbi può essere di aiuto la colorazione istochimica con Alcian Blu (pH 2.5) che colora elettivamente le mucine acide in blu intenso. Nel caso di metaplasia intestinale prossimale alla GEG si pone il problema della diagnosi differenziale tra cardite metaplasia ed esofago di Barrett ultra-corto (mucosa vellutata che si estende cranialmente alla GEG per non più di cm 0.9, vedi sotto).

è stato proposto l’uso delle citocheratine (CK) 7 e 20 per distinguere la MI insorta su mucosa gastrica da quella caratteristica della mucosa di Barrett. In particolare:

  • il pattern costituito da espressione di CK20 in epiteli superficiali, coesistente con epiteli profondi CK7-positivi orienterebbe per mucosa di Barrett;
  • il pattern costituito da espressione di CK20 in epiteli superficiali, coesistente con epiteli profondi CK7-negativi orienterebbe per cardite metaplasica.

Non tutti gli studi concordano sulla specificità di questi pattern immunoistochimici.

La colorazione con Ematossilina/Eosina è sufficiente alla individuazione di Metaplasia Intestinale.

D: Altri reperti presenti nelle biopsie esofagee

L’epitelio pavimentoso originale dell’esofago adiacente ad aree metaplasiche può mostrare alterazioni istologiche riferibili a esofagite “peptica” (iperparacheratosi, iperplasia del compartimento proliferativo ed esocitosi leucocitaria di vario grado dell’epitelio pavimentoso). Possono essere presenti erosioni/ulcerazioni. La lamina propria può essere sede di infiltrato infiammatorio (linfocitario e/o granulocitario) e di angiectasie.

La componente ghiandolare metaplasica (metaplasia intestinale) può essere sede di neoplasia non-invasiva di basso e/o alto grado. Quando le ghiandole metaplasiche mostrano atipie non dirimenti nella diagnosi differenziale tra lesioni iperplastiche e neoplastiche non-invasive, si usa il termine di “alterazioni ghiandolari indefinite per neoplasia non-invasiva”. La presenza di alterazioni ghiandolari indefinite per neoplasia non-invasiva non escludono la presenza di foci di displasia di basso grado.

La neoplasia non-invasiva identifica pazienti a rischio di neoplasia più elevato di quello associato a semplice metaplasia intestinale. La neoplasia non-invasiva di basso grado può coesistere con foci di alto grado.

La neoplasia non-invasiva di alto grado è spesso associata a foci di adenocarcinoma infiltrante la lamina propria.

In presenza di alterazioni ghiandolari indefinite per neoplasia non-invasiva o in presenza di neoplasia non-invasiva è importante raccomandare nel referto istologico un follow-up endoscopico-bioptico secondo protocollo.

E: Richiesta di esame istologico: informazioni cliniche

La richiesta di esame istologico di biopsie ottenute da mucosa “vellutata” in esofago tubulare deve includere le seguenti informazioni clinico-endoscopiche:

a) distanza del/dei campione/i bioptico/ci dalla arcata dentaria (a.d.);

b) distanza della giunzione esofago-gastrica dalla a.d.

Notizie accessorie sono costituite dalla distanza da a.d della linea Z e dei pilastri diaframmatici. In particolare, conoscendo la distanza della linea Z possiamo valutare la adeguatezza del numero delle biopsie (applicazione o meno del protocollo di Seattle); conoscendo l’impronta dei pilastri possiamo valutare la presenza di ernia jatale.

Le biopsie ottenute da mucosa “vellutata” (craniale alla GEG) saranno qualificabili come mucosa di Barrett solo in presenza di epiteli ghiandolari di tipo intestinale (=MI)

Le informazioni cliniche sulla distanza dalla arcata dentaria della linea Z e dell’Impronta dei pilastri diaframmatici e della GEG costituiscono presupposto per la formulazione di diagnosi di mucosa di Barrett.

è augurabile predisporre di un modello di richiesta di esame istologico che includa una check list delle informazioni cliniche da allegare (tipo quello adottato dalla Anatomia Patologica di Padova, vedi figura).

In presenza di Metaplasia Intestinale, non può essere posta diagnosi di esofago di Barrett quando non siano note la sede del prelievo e la localizzazione della GEG (espresse in cm di distanza dalla arcata dentaria)

F: Lunghezza della mucosa di Barrett

La estensione (lunghezza) della mucosa di Barrett è espressa in centimetri. I centimetri esprimono la distanza tra giunzione esofago-gastrica e il più craniale dei foci di MI.

La British Society of Gastroenterology, definisce Esofago di Barrett “corto” quello che ha lunghezza (estensione craniale rispetto alla GEG) <cm 3; è definito Esofago di Barrett “lungo” quello che con estensione ≥ 3 cm dalla GEG. Una mucosa di Barrett <cm 1 è definita Mucosa di Barrett “ultra-corta”. Le dimensioni dell’Esofago di Barrett ultra-corto ne rendono difficile la identificazione endoscopica; altrettanto controversa è la distinzione istologica tra mucosa di Barrett ultra-corta e metaplasia intestinale del cardias. Il tema è, peraltro, di limitato impatto clinico poiché se si accetta l’ipotesi il rischio di carcinoma cresce con il crescere della estensione del Barrett, le forme “ultra-corte” dovrebbero essere associate ad un rischio “ultra-basso”.

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Il referto istologico deve classificare la Mucosa di Barrett in corta e lunga.

4.La storia naturale della malattia

4.1 Esofagite peptica

L’esofagite peptica (sinonimo: esofagite da reflusso) è causata dall’azione lesiva del reflussato gastrico sulla mucosa esofagea. La presenza di ernia gastrica iatale costituisce un fattore favorente. Il materiale che dallo stomaco refluisce in esofago può essere costituito unicamente da contenuto gastrico (=acido e pepsina). In presenza di concomitante reflusso duodeno-gastrico, il reflussato esofageo è costituito da una mistura di contenuto gastrico e duodenale (sali biliari). Sia il reflussato gastrico che quello duodeno-gastrico sono lesivi della mucosa esofagea, che mostra uno spettro di alterazioni variabile da lesioni minime a lesioni ulcerative.

Solo il 50-60% dei pazienti sintomatici dimostra alterazioni endoscopiche. Le lesioni endoscopiche della esofagite peptica sono classificate secondo una scala di gravità crescente per qualità ed estensione delle lesioni. I più usati criteri di score sono quelli di Savary e di Los Angeles (vedi tabelle).

Come le lesioni endoscopiche, anche le lesioni istologiche della esofagite peptica sono di gravità variabile. Alterazioni “minime” sono rilevabili anche in pazienti con reperto endoscopico normale. Esse consistono in dilatazione degli spazi tra gli epiteli pavimentosi dell’esofago, associati a iperplasia del compartimento proliferativo e a esocitosi leucocitaria intra-epiteliale. Può essere presente infiltrazione leucocitaria sottoepiteliale. Nei casi più gravi la istologia conferma la presenza delle lesioni erosive o ulcerative documentate alla visione endoscopica.

Alle lesioni epiteliali conseguenti al reflusso ed alla infiammazione ad esse associata è attribuita responsabilità nella morfogenesi della metaplasia ghiandolare.

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4.2 La mucosa di Barrett

Al reflusso gastro-esofageo cronico consegue esofagite e alla esofagite può conseguire trasformazione colonnare metaplasica dell’epitelio pavimentoso.

La morfogenesi della trasformazione metaplasica è ignota. Una interpretazione finalistica suggerisce che la trasformazione dell’epitelio pavimentoso in mucosa ghiandolare realizzi un microambiente mucoso più “resistente” all’azione lesiva del reflussato, ma i meccanismi molecolari di questo rimodellamento fenotipico non sono noti. Certamente, ad essi non è estraneo l’infiltrato infiammatorio e la azione che le citochine hanno nel modificare il commitment cellulare.

Diverse sono le teorie sulle cellule da cui origina la mucosa metaplasica.

Le cellule staminali del compartimento proliferativo dell’epitelio pavimentoso esofageo potrebbero rimodularsi generando epiteli proni alla differenziazione in senso colonnare (ghiandolare). Tale ipotesi trova supporto nella dimostrazione che nelle cellule staminali dell’epitelio pavimentoso adiacente ad ulcere peptiche è stata documentata la espressione de novo di fattori di differenziazione propri dell’epitelio gastrointestinale. Altre ipotesi interpretano la metaplasia colonnare come secondaria alla migrazione in esofago di cellule staminali derivate dalla mucosa della GEG o da residui embrionali di mucosa gastrointestinale inclusi nella mucosa esofagea. Recentemente è stato proposto che la mucosa esofagea metaplasica derivi dalla espansione di cloni di epiteli ghiandolari derivanti dalle ghiandole siero-mucose annesse all’esofago.

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4.3 La neoplasia non-invasiva su mucosa di Barrett

Il nesso tra mucosa di Barrett ed adenocarcinoma è documentato da evidenze epidemiologiche, cliniche e sperimentali. Alla difficoltà di condurre studi clinici di follow-up a lungo termine consegue la lacunosità delle conoscenze disponibili sulle modalità di trasformazione carcinomatosa della mucosa di Barrett. Allo stato attuale non è noto il reale rischio di neoplasia associato alla mucosa di Barrett. Dati clinici dimostrano che la presenza di neoplasia non-invasiva (displasia) in mucosa di barrett incrementa significativamente il rischio di carcinoma e che tale rischio è significativamente più alto nella neoplasia non-invasiva di alto grado rispetto a quello della neoplasia non-invasiva di basso grado. Non sono disponibili informazioni attendibili sui fattori eziopatogenetici che condizionano la trasformazione di mucosa di Barrett in lesione neoplastica non-invasiva. Il rischio di neoplasia non-invasiva è certamente legato a variabili quali età, sesso, durata dei sintomi, estensione di mucosa intestinalizzata, ma la specifica responsabilità di ciascuna di queste variabili è ignota.

La neoplasia non-invasiva (= NiN; i.e. displasia) degli epiteli ghiandolari è una trasformazione neoplastica degli epiteli confinata all’interno della membrana basale delle ghiandole nelle quali insorge. La integrità della membrana basale distingue neoplasie invasive versus neoplasie non-invasive ed esclude per queste ultime il rischio di diffusione locale e metastatica.

La similitudine biologica tra la mucosa di barrett e mucosa gastrica ha costituito il razionale per adottare nella mucosa di barrett gli stessi criteri di diagnosi istologica adottati per la neoplasia non-invasiva dello stomaco. Nelle “Guidelines for the diagnosis and management of Barrett’s esophagus”, la British Society of Gastroenterology suggerisce che la displasia in esofago di Barrett vada classificata secondo i criteri dellaInternational Padova Classification.

La neoplasia non-invasiva insorgente in mucosa intestinalizzata può essere di basso e alto grado. Nella neoplasia non-invasiva di basso grado l’architettura ghiandolare è minimamente distorta e vi è atipia citologica di basso grado. La neoplasia non-invasiva di alto grado è caratterizzata da elevata atipia citologica e grave alterazione strutturale delle ghiandole. Sono categorizzate come “indefinite per neoplasia non-invasiva” lesioni per le quali il patologo non ha elementi di certezza per distinguere tra alterazioni neoplastiche non-invasive (di basso grado) ed alterazioni iperplastico-rigenerative degli epiteli ghiandolari dovute a rigenerazione o a iperplasia reattiva. La diagnosi di lesioni indefinite per neoplasia non-invasiva non esclude la presenza di neoplasia non-invasiva (di basso grado) e costituisce indicazione a follow-up endoscopico e bioptico.

Circa il 60% dei casi di neoplasia non-invasiva di alto grado coesiste con adenocarcinoma invasivo e tale associazione costituisce il razionale di trattamenti resettivi della lesione. La associazione con adenocarcinoma è più frequente in presenza di lesioni endoscopiche nodulari, ulcerate o protrudenti.

La diagnosi istologica di neoplasia non-invasiva di basso e di alto grado è caratterizzata da elevata variabilità inter-observer. Per tale motivo, tutte le lesioni diagnosticate in particolare come neoplasia non-invasiva di alto grado dovrebbero essere rivalutate da un patologo esperto in patologia gastrointestinale:questa diagnosi infatti condiziona la scelta terapeutica. La variabilità diagnostica costituisce uno dei motivi principali della discrepanza (e della lacunosità) delle informazioni disponibili sulla storia naturale e sulla oncogenesi in Esofago di Barrett.

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4.4 L’adenocarcinoma di Barrett

L’adenocarcinoma che insorge su mucosa di Barrett (adenocarcinoma di Barrett) ha caratteristiche macroscopiche e istologiche simili a quelle dell’adenocarcinoma della GEG. L’adenocarcinoma di Barrett è spesso multifocale e ciò è verisimilmente legato alla multifocalità della metaplasia intestinale e della neoplasia non-invasiva.

Il reperto macroscopico varia a seconda dello stadio della malattia: nei casi limitati alla mucosa/sottomucosa, le alterazioni possono essere minime (piccole estroflessioni polipoidi o micro-ulcere). Negli stadi avanzati, il carcinoma può essere vegetante o ulcerato.

La mucosa circostante è generalmente sede di MI e di neoplasia non-invasiva di basso e di alto grado. In alcuni casi di adenocarcinoma di Barrett, l’esame istologico della lesione e dell’area perilesionale documenta esclusivamente mucosa di tipo gastrico di tipo non-intestinalizzata. Tale osservazione ha riaperto il dibattito sulla teoria che associa solo alla mucosa intestinalizzata il rischio di trasformazione maligna. Le interpretazioni di queste osservazioni sono numerose e spesso contraddittorie.

L’istotipo dell’adenocarcinoma di Barrett può essere Intestinale o Diffuso. L’istotipo Intestinale può realizzare un pattern papillare, tubulare o colloide. Nell’istotipo Diffuso predominano aspetti a cellule signet ring o piccoli nidi solidi di cellule (poco coese) a basso grado di differenziazione.

La neoplasia infiltrante la parete esofagea e il connettivo extraparietale, spesso infiltra gli spazi perineurali, trombizza le strutture vascolari ematiche e/o linfatiche e stabilisce impianti metastatici linfonodali (50-75% dei casi). La frequenza di metastasi linfonodali correla con la profondità di infiltrazione. Le stazioni linfonodali interessate sono: i linfonodi paracardiali (40%), della piccola curva gastrica (30%) e spleno-pancreatici (10%). I linfonodi intratoracici sono coinvolti in meno del 10% dei casi.

La prognosi dell’adenocarcinoma di Barrett correla con lo stadio (pTNM), con il grado di differenziazione dell’istotipo neoplastico e con la presenza di trombosi neoplastica (ematica e linfatica).

4.5 Patologia molecolare della oncogenesi su Mucosa di Barrett

La sequenza di eventi che, dalla esofagite alla metaplasia intestinale in esofago, attraverso la neoplasia non invasiva, portano all’insorgenza di adenocarcinoma è stata ed è tuttora oggetto di studio. Il processo biologico, innescato dal reflusso gastro-esofageo e dall’azione erosiva prolungata sulla mucosa esofagea, coinvolgerebbe mutazioni delle proteine p16 e p63. Maggiore attività proliferativa è stata documentata nella mucosa intestinalizzata rispetto alla mucosa gastrica o nativa esofagea. Steps successivi e correlati all’insorgenza di neoplasia non-invasiva sarebbero l’attivazione del gene APC, upregulation del gene COX-2, aneuploidia di 9p21 e/o 5q21. Eventi correlati all’insorgenza di adenocarcinoma sarebbero infine una diminuzione dell’espressione di membrana della E-Cadherina e della beta-catenina con correlato aumento della loro espressione nucleare.

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5. La terapia dell’esofago di Barrett

La mucosa di Barrett è associata a rischio di adenocarcinoma; di conseguenza l’obbiettivo terapeutico è quello di favorire la scomparsa delle lesioni metaplasiche.

Non vi è prova che terapie mediche o chirurgiche (plastica antireflusso) possano far regredire completamente la mucosa colonnare metaplasica. La esofagectomia non può costituire una terapia per lesioni la cui evolutività neoplastica è estremamente bassa. L’approccio terapeutico resettivo è pertanto limitato ai casi documentati come neoplastici (NiN di alto grado o con adenocarcinoma).

La terapia della MRGE è volta alla prevenzione dell’esofago di Barrett ed ha come obiettivi:

  1. Riduzione del reflusso gastroesofageo;
  2. Neutralizzazione dell’acidità del materiale refluito;
  3. Miglioramento della clearance e protezione della mucosa esofagea.

Nella MRGE non-complicata possono essere sufficienti accorgimenti concernenti lo stile di vita:

  • riduzione del peso corporeo (il BMI correla con il rischio di Esofago di Barrett);
  • modificare la postura del sonno (innalzare la posizione della testa di 10-15 cm rispetto al corpo);
  • abolire le cause di aumentata pressione intraddominale;
  • eliminare fumo di sigaretta, limitare l’apporto di grassi, caffè, cioccolato, alcol, menta, spremuta d’agrumi;
  • evitare l’assunzione di abbondanti quantità di liquidi durante i pasti;
  • eliminare bevande gassate e cibi che tendono a fermentare;
  • uso on demand di antiacidi o antagonisti dei recettori H2.

5.1 Terapia Medica

I principali farmaci usati nella MRGE hanno la proprietà di diminuire la secrezione acida dello stomaco e aumentare le difese della mucosa esofagea attraverso attività citoprotettive o eventualmente antibatteriche. Essi sono:

  • gli antiacidi
  • gli antagonisti del recettore H2
  • gli inibitori di pompa protonica (IPP)
  • i citoprotettori

La terapia dei pazienti con EB deve perseguire l’obbiettivo di una inibizione profonda e prolungata della secrezione acida. Il target è infatti annullare il reflusso acido mantenendo l’esofageo distale libero da infiammazione.

Gli IPP a dosaggio pieno rappresentano il trattamento di scelta nell’approccio medico dell’EB.

Mentre gli anti-H2 sopprimono solo in maniera parziale la secrezione gastrica indotta dal pasto (principalmente mediata dall’azione vagale-colinergica e dalla secrezione di gastrina), gli IPP inibiscono l’ultimo e definitivo passaggio che conduce alla secrezione di HCl. Il legame irreversibile che si crea tra IPP e pompa protonica fa sì che il recupero della capacità di secernere ioni idrogeno (H+) da parte delle cellule parietali dipenda unicamente dalla sintesi di nuove pompe. L’azione di tali farmaci è legata alla capacità di ridurre drasticamente la secrezione di acido cloridrico ed il volume del succo gastrico e di mantenere il pH gastrico al di sopra di 4. La concomitante assunzione di cibo può ritardare l’assorbimento di IPP, ma non diminuisce la quantità totale assorbita, per cui la biodisponibilità del farmaco resta sostanzialmente invariata. Il controllo della secrezione acida è migliore se gli IPP vengono assunti prima dei pasti piuttosto che a distanza da questi.

Poiché è noto che i pazienti con EB possono continuare a soffrire di reflusso anche in assenza di sintomi, la terapia deve continuare indipendentemente dal manifestarsi di sintomi clinici.

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5.2 Terapia Chirurgica

Lo scopo del trattamento chirurgico dell’EB è quello di ristabilire un meccanismo di contenzione della barriera antireflusso.

L’intervento chirurgico più praticato è la fundoplicatio secondo Nissen per via laparotomica o laparoscopica. La procedura consiste in una plicatura del fondo gastrico attorno alla porzione esofagea inferiore (confezionata per via addominale o toracotomica), in modo da creare un manicotto che ha effetto contenitivo nei confronti del reflusso. La plastica produce inoltre un aumento della lunghezza intraddominale del SEI e calibra la giunzione esofago-gastrica riducendone la possibilità di apertura in accordo con la legge di Laplace.
Non è ancora dimostrato che la fundoplicatio porti alla regressione dell’EB, ma è certo rappresenta una preziosa opzione nei pazienti resistenti alla terapia medica.

5.3 Opzioni terapeutiche ai farmaci e alla chirurgia

Ad oggi la terapia fotodinamica (PDT), l’ablazione termica, la resezione endoscopica della mucosa o una combinazione di queste, rimangono le terapie endoscopiche non chirurgiche di scelta per il trattamento della neoplasia non-invasiva (di alto grado) e negli adenocarcinomi di Barrett in fase early.

PDT

La terapia fotodinamica con Photofrin (Porfimero sodico) è stata riconosciuta dalla FDA (US Food and Drug Administration) per il trattamento dell’esofago di barrett con NiN di alto grado. Trascorse 48 ore dall’iniezione intravenosa di Photofrin , il paziente viene sottoposto ad endoscopia. Il Photofrin iniettato rende tutti i tessuti (compresa la mucosa di Barrett) sensibili alla luce. Durante l’endoscopia una luce laser viene indirizzata sulla mucosa di Barrett, causticandola. I pazienti vengono successivamente trattati con IPP a dosaggio pieno per controllare il RGE e favorire la normale riepitelizzazione dell’esofago.

Ablazione termica

Come la terapia fotodinamica, anche l’ablazione termica ha l’obiettivo di distruggere la mucosa di Barrett. Tale metodica distrugge la Mucosa di Barrett utilizzando fonti di calore (elettrocoagulazione multipolare -MPEC-, coagulazione mediante argon plasma -APC-, ablazione laser -KTP:YAG laser e Nd:YAG laser-). Dopo ablazione termica, la terapia con IPP dovrebbe favorire il ripristino della mucosa esofagea normale.

Recentemente è stata proposta l’ablazione con radiofrequenza (RF) [Halo360 system, Barrx Medical].

La metodica, Halo90 – Halo360 system, Barrx Medical, utilizza un catetere filo-guidato, dotato all’estremità di un emettitore di RF a pallone e un generatore di RF.

Viene preventivamente determinata la scelta del catetere (disponibile con diametri di 22, 25, 28, 31, 34 mm); il pallone del catetere per ablazione è ricoperto da 60 microelettrodi circonferenziali a polarità alternata, che formano un emettitore di RF cilindrico lungo 3 centimetri. Il rigonfiamento del pallone consente che gli elettrodi aderiscano alla mucosa esofagea emettendo impulsi di RF ad alta potenza e breve durata (<1 sec). La procedura determina la necrosi circumferenziale e superficiale (0.5-1 mm) della mucosa e della lamina propria, risparmiando la muscularis mucosae. Dopo ablazione, la terapia con IPP dovrebbe favorire il ripristino della mucosa esofagea normale. L’introduzione della metodica è limitata a pochi Centri e non sono disponibili studi di follow-up a lungo termine su pazienti sottoposti a questo intervento; sono stati descritti tuttavia casi di carcinoma squamoso dell’esofago insorto in mucosa trattata.

Resezione endoscopica della mucosa (EMR)

La resezione endoscopica della mucosa, o mucosectomia, è una procedura endoscopica utilizzata per la rimozione di aree con Esofago di Barrett con NiN di alto grado e adenocarcinomi early e topograficamente circoscritti. Le tecniche resettive endoscopiche sono numerose. La più comunemente usata prevede i seguenti passaggi: 1) marcatura della lesione ai 4 punti cardinali con ansa diatermica; 2) sollevamento della lesione mediante infiltrazione della mucosa con soluzione fisiologica; 3) aspirazione della lesione stessa all’interno di un cappuccio endoscopico e legatura alla base con laccio; 4) resezione con ansa diatermica.

Il pezzo prelevato viene quindi inviato per esame istologico. Quando la mucosectomia venga eseguita per tumori early, la resezione è preceduta da eco-endoscopia (valutazione del grado di profondità della lesione e valutazione di eventuali linfonodi regionali).

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6. Il follow-up della mucosa di Barrett

Sorveglianza Endoscopica

La sorveglianza endoscopica dei pazienti affetti da Malattia da Reflusso Gastro Esofageo è stata dimostrata efficace nella prevenzione secondaria dell’adenocarcinoma di Barrett. L’American College of Gastroenterology ha recentemente suggerito che il follow-up dei pazienti con Esofago di Barrett senza Displasia deve prevedere una endoscopia (con campionamento bioptico) ogni 2 o 3 anni. In caso di neoplasia non-invasiva di basso grado i pazienti dovrebbero essere sottoposti ad 2 endoscopie (una ogni sei mesi) nel primo anno.

Nei casi di neoplasia non-invasiva di alto grado ogni decisione terapeutica dovrebbe essere preceduta da conferma endoscopica e bioptica della lesione.

7. Il registro EBRA

Nel 2004, un gruppo multi-disciplinare composto da gastroenterologi, anatomo-patologi e chirurghi si è proposto di raccogliere in un Registro informatico i pazienti portatori di esofago di Barrett e residenti nel territorio del Triveneto. A tal fine, criteri univoci di arruolamento, di diagnosi e di follow-up sono stati concordati e assunti conditio sine qua non per l’inclusione dei pazienti nello studio prospettico. Nato come Registro di popolazione, il Registro dell’Esofago di Barrett e Rischio di Adenocarcinoma (EBRA) è oggi attivo nel triveneto con l’obbiettivo di disegnare la storia naturale dell’Esofago di Barrett.

L’arruolamento dei pazienti nel Registro è volontario e subordinato alla firma del consenso informato al momento del primo esame.

Gli obiettivi del Registro sono: valutare le caratteristiche demografiche, clinico/endoscopiche e patologiche dei pazienti affetti da Esofago di Barrett (EB) e documentarne la storia naturale (i.e. progressione della metaplasia intestinale in lesioni neoplastiche non- invasive e in adenocarcinoma).

Prima di iniziare l’arruolamento dei pazienti, sono stati collegialmente definiti e concordati i protocolli per l’esecuzione degli esami endoscopici, per l’acquisizione di materiale bioptico, per la modalità di refertazione istologica e per la tempistica del follow-up. Lo studio ha ricevuto la approvazione del Comitato Etico dell’Università di Padova.

L’esame endoscopico può essere condotto secondo l’endoscopia tradizionale o avvalendosi delle nuove metodiche (vedi 3.4); il protocollo di campionamento bioptico adottato è quello di Seattle (vedi 3.5).

In tutti i Centri è stato adottato un modulo standard di richiesta di esame istologico (vedi scheda) che viene compilato dall’endoscopista al momento dell’esame endoscopico e di cui rimane una copia all’endoscopista, una copia viene inviata al patologo insieme con i campioni bioptici e, infine, una copia viene inviata al centro Coordinatore.

Per la diagnosi di Esofago di Barrett è stata concordata come condizione necessaria la presenza di Metaplasia Intestinale (vedi 3.6) e per la conferma di diagnosi di NiN la revisione da parte di un patologo esperto in patologia gastrointestinale.

La tempistica dei follow-up proposta e adottata è la seguente:

  • Pazienti con esofago di Barrett senza NiN: controllo endoscopico/bioptico ogni 2 anni;
  • Pazienti con alterazioni ghiandolari indefinite per NiN: controllo endoscopico/bioptico dopo 3 mesi di terapia con IPP e quindi ogni 6 mesi fino alla regressione (=scomparsa “istologica”della NiN in due esami successivi);
  • Pazienti con NiN di basso grado: controllo endoscopico/bioptico ogni 6 mesi fino alla regressione;
  • Pazienti con NiN di alto grado: revisione dei preparati istologici da parte di un patologo esperto di patologia gastro-intestinale e successiva valutazione clinico-patologica della strategia di intervento terapeutico.

 

Al Registro nel 2004 hanno aderito 21 Centri; di questi, 17 Centri hanno arruolato e continuano ad arruolare pazienti che seguono in follow-up da almeno 5 anni. Al momento, il Registro conta più di 1100 pazienti.

Costituisce peculiarità della attività del Registro un comitato di coordinamento e un monitoraggio periodico della qualità dei dati registrati. A tal fine un monitor visita periodicamente i Centri aderenti allo studio per discutere con i ricercatori clinici i dati di arruolamento e di follow-up.

Gli Operatori dei Centri periferici (endoscopisti, gastroenterologi, anatomo-patologi e chirurghi, circa 50 operatori attivi) inseriscono nel sito on line (www.esofagodibarrett.org) i dati dei pazienti arruolati compilando una scheda endoscopica e una scheda anatomo-patologica. Il Centro Coordinatore verifica e valida gli arruolamenti ed i controlli periodici dei pazienti. Riunioni semestrali dei ricercatori clinici hanno il fine di discutere i problemi operativi e di aggiornare i Centri coinvolti sulle attività del Registro. Tecnici telematici supportano il funzionamento del Registro on-line e collaborano per l’estrazione dei dati.

Ad oggi, EBRA è l’unico Registro in Europa con protocolli di studio standardizzati e con dati costantemente aggiornati, monitorizzati e validati.

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8. Conclusioni

L’esofago di Barrett è una malattia con crescente impatto epidemiologico e tale crescita è parallela alla aumentata incidenza dell’adenocarcinoma esofageo.

Alle numerose contraddizioni nella definizione e nella gestione clinica dei pazienti portatori di esofago di Barrett conseguono profonde incertezze sugli aspetti biologici e clinici di questa patologia.

La istituzione di studi prospettici condotti su ampie coorti di pazienti costituisce l’unico mezzo per ampliare le conoscenze sull’Esofago di Barrett.

Nel triveneto uno studio prospettico è stato attivato per arruolare pazienti portatori di esofago di Barrett e per seguirli nel tempo con protocolli standardizzati di follow-up endoscopico e bioptico. Tale studio, oltre che offrire risultati utili alla conoscenza della storia clinica della malattia, consente la acquisizione di campioni biologici da utilizzare in studi molecolari volti ad ampliare le conoscenze sulla biologia della mucosa di Barrett e sulle lesioni neoplastiche che insorgono in essa.

La combinazione delle informazioni cliniche e biologiche potranno costituire il fondamento per strategie volte alla prevenzione primaria e secondaria dell’adenocarcinoma di Barrett.

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